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Il fenomeno del quiet quitting non è sostenibile in azienda

Da qualche tempo si sente parlare del c.d. fenomeno del “Quiet Quitting” ma cos’è esattamente?

Letteralmente significa abbandono silenzioso o disaffezione professionale che alla lunga sfocia poi nelle dimissioni; questo fenomeno riguarda l’atteggiamento passivo e distaccato del dipendente verso i processi aziendali, che lo porta a svolgere le proprie mansioni senza più essere particolarmente coinvolto, senza più entusiasmo verso i valori aziendali. Questa condotta si estrinseca nel non sentirsi più attratto dalla mission dell’azienda, si procede gradualmente a ridurre la propria partecipazione agli eventi, ai progetti aziendali, si sceglie di allentare il ritmo lavorativo, di ridurre tutte le preoccupazioni in favore di un maggiore benessere della propria vita privata. Questo fenomeno è sicuramente correlato anche al post pandemia che ci ha portati a rimodulare le nostre vite, a cambiare le nostre abitudini, imparando ad apprezzare la lentezza del tempo e la serenità dei nidi familiari. Il quiet quitting sta interessando in modo particolare i lavoratori più giovani (generazione Z) che hanno una visione più flessibile ed inclusiva del lavoro; quindi, quando gli ambienti di lavoro diventano spazi tossici – in cui il dipendente non viene motivato, gratificato, quando gli stipendi non sono proporzionati alle mansioni, quando non si investe nello sviluppo professionale e personale dei dipendenti – l’azienda può essere danneggiata nel suo processo economico-produttivo.

In definitiva quando all’interno di un’azienda si fa strada un fenomeno come il “quiet quitting” con molta probabilità l’azienda non ha investito nei valori della sostenibilità aziendale; per sostenibilità aziendale si intende non solo il rispetto per l’ambiente ma anche la valorizzazione delle risorse umane. Secondo la Comunicazione UE n. 681 del 2011 per Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) si intende la responsabilità delle imprese per gli impatti che hanno sulla società; è fondamentale che le aziende siano responsabili non solo economicamente ma anche socialmente, che siano attente a proporre ai consumatori prodotti e servizi di qualità, comunicazioni trasparenti e veritiere, che abbiano una migliore reputazione -rispetto ai concorrenti- sia per le prestazioni commerciali che sociali. Un’azienda è sostenibile – di conseguenza socialmente responsabile- quando investe nella crescita personale e professionale dei propri dipendenti e collaboratori, sono loro che costituiscono il capitale sociale dell’impresa determinandone il successo e lo sviluppo economico. Per un’azienda essere Responsabile Socialmente è importante per definire le proprie strategie di sviluppo, la crescita economica dell’azienda non è legata solo alla redditività ma anche alla realizzazione di obiettivi ambientali e sociali. La Norma ISO 26000 è uno standard internazionale che fornisce le linee guida sulla Responsabilità Sociale delle Imprese.

Tutte le imprese possono diventare socialmente responsabili? Assolutamente sì

perché non è prevista alcuna procedura di accreditamento da parte di Organismi Terzi quindi tutte le imprese o organizzazioni piccole e medie possono conformarsi alle Linee Guida sulla Responsabilità Sociale, questa è un’opportunità per le imprese perché possono potenziare il proprio business. Ad esempio coinvolgere i propri dipendenti in percorsi di formazione ed aggiornamento può aumentare la competitività dell’impresa, si possono adottare politiche per la tutela dell’ ambiente cercando di ridurre i consumi energetici e delle materie prime. Inoltre, l’azienda può rafforzare la sua reputazione con un Bilancio Sociale; il Parlamento Europeo il 14 aprile del 2014 ha approvato la Direttiva 2014/95/UE sulla rendicontazione delle informazioni non finanziarie e sulla diversità, lo scopo della direttiva è quello di migliorare la trasparenza e la responsabilità delle imprese su temi non finanziari.

Spetta alle aziende investire sull’engagment aziendale, prendendosi cura del benessere dei propri dipendenti, motivandoli, creando valore e habitat lavorativi più sostenibili ed inclusivi, accelerando la creatività, l’innovazione, migliorando la produttività e le prestazioni organizzative; è proprio agendo in questo modo che si possono arginare fenomeni come il quiet quitting.