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La disciplina dei compensi del Terzo Settore

La Legge 26 luglio 2023 n. 95 ha incluso tra le attività di interesse generale, di cui all’art. 5, comma 1, del D. lgs. 117/2017 (Codice del Terzo Settore) e di cui all’art. 2, comma 1, del D.lgs. 112/2017 (Disciplina dell’Impresa Sociale), l’attività di produzione, accumulo e condivisione di energia da fonti rinnovabili a fini di autoconsumo. L‘intersezione tra sostenibilità energetica e solidarietà sociale sta dando vita a un cambiamento significativo nella normativa del Terzo Settore. La Comunità Energetica Rinnovabile (CER) è uno strumento che consente di auto-organizzarsi, al fine di condividere energia prodotta da fonti rinnovabili e di fornire benefici ambientali, economici o sociali ai soci o membri della stessa o alle aree locali entro cui opera. Le modifiche apportate al Codice del Terzo settore ed al D. lgs. 112/2017 consentono alle CER di poter assumere la qualifica di ente del Terzo Settore.
I Decreti attuativi delle due Riforme che hanno apportato radicali modifiche al mondo del Terzo Settore, hanno ad oggetto i requisiti e le condizioni necessarie affinché gli enti possano essere qualificati come ETS, ossia enti del Terzo Settore. Tra questi requisiti e condizioni necessarie vi sono anche quelle relative all’assenza dello scopo di lucro. Ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D. Lgs. 117/2017 e art. 3, comma 2, del D. Lgs. 112/2017, con riferimento agli ETS, è sancito il divieto di distribuzione di utili e avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a diversi soggetti, tra cui, gli amministratori. Analogamente, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D. Lgs. 36/2021 è previsto il medesimo divieto. Tale distribuzione è vietata sia in forma diretta sia in forma indiretta, cioè attraverso operazioni a favore dei soggetti individuati, tra cui gli amministratori. La disciplina degli ETS, a cui l’art. 8, comma 2, del D. Lgs. 36/2021 fa espresso rinvio, prevede che alcune specifiche operazioni siano considerate presuntivamente come distribuzioni indirette di utili: ciò significa che sarà onere dell’ente dimostrare il contrario. Le ipotesi finora considerate non possono dirsi esaustive posto che l’inciso “in ogni caso”, presente nel comma 3, agli artt. 8, del D. Lgs. 117/2017 e 8, del D. Lgs. 112/2012, lascia intendere che le condotte ivi previste non possano dirsi tassative. Tra le condotte riconducibili alla fattispecie della distribuzione indiretta degli utili, gli artt. 8, comma 3, del D. Lgs. 117/2017 e 3, comma 2, ultimo periodo, del D. Lgs. 112/2017 (a cui quest’ultimo l’art. 8, comma 3, del D. Lgs. 36/2021 fa espresso rinvio), prevedono alla lettera a) l’ipotesi della corresponsione ad amministratori: “di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni“. Si rende, quindi, possibile (ma non obbligatoria) la corresponsione di compensi, ma è evidente che un criterio legato “all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze” oppure ai “compensi previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni” non possa dirsi oggettivo, occorre dunque porsi l’interrogativo, preliminarmente, se sia possibile affermare con assoluta certezza che basti rispettare detto criterio per riconoscere un compenso agli amministratori.
Procedendo con l’analisi, si voglia porre l’attenzione alla natura giuridica del rapporto tra un ente e il suo amministratore. La giurisprudenza formatasi con riferimento alle società è pacificamente orientata a ritenere che tra l’ente e l’amministratore si instaura un vero e proprio rapporto contrattuale, dovendosi considerare che nei loro rapporti interni essi devono essere valutati come due soggetti di diritto, autonomi e distinti, dei quali l’uno svolge una prestazione in favore dell’altro. La questione maggiormente problematica ha riguardato l’individuazione del tipo negoziale all’interno del quale il predetto rapporto avrebbe dovuto essere sussunto. Al riguardo la giurisprudenza sia di merito sia di legittimità ha ricondotto detto rapporto al: ““rapporto di società” perché serve ad assicurare l’agire della società, non assimilabile, in quest’ordine di idee, né ad un contratto d’opera, né tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato” (Cass. Civ., Sez. I, Sentenza 17/10/2014, n. 22046).
Come si legge nella nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 6214/2020, è possibile: “la previsione dell’attribuzione di un compenso a favore dei titolari delle cariche sociali è demandata all’autonoma scelta dell’ente“. Si ritiene necessario precisare che l’utilizzo dell’espressione “la previsione dell’attribuzione di un compenso” implica che costituisce questione preliminare la verifica dell’esistenza del diritto dell’amministratore al compenso in forza di un titolo.
La verifica dell’esistenza del diritto dell’amministratore al compenso, come suddetto, è una questione preliminare. Un aspetto, invece, che potrebbe precludere il diritto al compenso, anche in presenza di un titolo, è previsto dall’art. 6, comma 2, del D. L. 78/2010, che stabilisce il carattere onorifico delle cariche ricoperte negli organi collegiali degli enti finanziati con risorse pubbliche. Gli amministratori dovranno quindi verificare, al contempo, il titolo e la situazione finanziaria degli enti che amministrano, dovendosi tuttavia evidenziare che non sussistono i presupposti per l’applicazione della disposizione nei casi in cui:
• gli enti ricevano una tantum contributi a carico delle finanze pubbliche;
• le somme erogate a un ente: “non si configurino come finanziamenti per l’attività svolta dall’ente stesso, né siano finalizzate al relativo funzionamento, ma siano interamente destinate, per il tramite dell’ente, a soggetti terzi, beneficiari delle iniziative previste dalle norme in base alle quali i finanziamenti vengono disposti. In tali casi, pertanto, l’ente non può ritenersi beneficiario della contribuzione pubblica”.
Considerato che il principio di gratuità opera con riferimento alle cariche amministrative degli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, sorgono dubbi circa l’applicabilità di detto principio nei confronti di titolari di organi amministrativi degli ETS. La nota n. 6214/2020 del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali segnala che con riferimento a diversi ETS in ogni caso sarebbe: “legittima l’attribuzione di compensi agli amministratori di enti del Terzo settore, anche laddove ricevano contributi pubblici”. A livello normativo, però, non si ravvisa una deroga espressa a favore di tutti gli ETS. Gli ETS, dunque, dovranno prestare attenzione sia all’ente che eroga il contributo sia alla tipologia dello stesso.

In conclusione, si ritiene sia possibile ipotizzare il riconoscimento di un compenso, tuttavia, affermare con assoluta certezza che basti rispettare il criterio legato “all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze” oppure ai “compensi previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni” non pone al riparo gli enti da possibili contenziosi. L’assenza di un titolo che legittimi la corresponsione dei compensi potrebbe essere fonte di un danno patrimoniale all’ente amministrato per l’ammontare delle somme distratte a titolo di compensi e, altresì, presupposto per integrare la fattispecie del divieto della distribuzione di utili. Qualora, tra l’altro, trovi applicazione la previsione di cui all’art. 6, comma 2, del D.L. 78/2010 le eventuali somme corrisposte, seppur in forza di un valido titolo, potrebbero rappresentare fonte di danno erariale.

A cura della Dott.ssa Greta Ardizzi